lunedì 15 luglio 2013

Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 1

Post aggiornato al 23 novembre 2016
 
Nei primi anni ’80, uno dei precursori a sostenere la possibilità di sfruttare la capacità del computer in modo da rendere la conoscenza attiva, portando i bambini a creare le applicazioni di quello che hanno appreso, fu Seymour Papert, matematico di origine sudafricana che fondò insieme a Marvin Minsky il Laboratorio di Intelligenza Artificiale del Mit di Boston. Papert è partito dalla matematica per capire come i bambini imparano a pensare e come può cambiare l’apprendimento grazie al computer.

Lavorando con lo psicologo Jean Piaget, Papert era rimasto impressionato dal suo modo di considerare i bambini come attivi costruttori delle proprie strutture intellettuali, ma secondo il matematico, dire che le strutture intellettuali sono elaborate da colui che apprende, piuttosto che inculcate da colui che insegna, non significa che esse si sviluppino dal nulla. Al contrario, come ogni costruttore, il bambino si appropria, per usarli a modo suo, dei materiali che trova attorno a sé, e soprattutto dei modelli e delle metafore proposte dalla cultura circostante.
Piaget descrive inoltre l’ordine in cui il bambino sviluppa diverse abilità intellettuali, mentre Papert dà più peso al ruolo che hanno i materiali di una particolare cultura nella determinazione di questo ordine. Lo psicologo presenta lo sviluppo intellettuale diviso in 3 “stadi”, che corrispondono approssimativamente ai tre principali periodi del calendario della vita così come è previsto dalla scuola. Il primo è definito come “stadio sensomotorio” che corrisponde al periodo prescolastico; si tratta di un periodo di prelogica in cui i bambini reagiscono alla loro situazione immediata. Il secondo Piaget lo chiama “stadio delle operazioni concrete”, corrispondente agli anni della scuola elementare, un periodo di logica concreta in cui il pensiero va molto al di là della situazione immediata, ma non opera ancora attraverso l’uso di principi universali. Il terzo periodo è detto “stadio formale” dai 12 anni in poi, dove il pensiero viene guidato e disciplinato, mediante i principi della logica, la deduzione, l’induzione e mediante il principio dello sviluppo teorico basato sul ricorso al test della verifica e della confutazione empirica. Papert stravolge i 3 stadi e di Piaget sostenendo invece che l’elaboratore può rendere concreto (e personale) il formale, il bambino anche di età prescolare padroneggia la macchina essendo lui a programmarlo.

Programmare un elaboratore non significa altro che comunicare con esso in un linguaggio che sia esso che chi lo usa possono “comprendere”. E Imparare i linguaggi è una delle cose che i bambini fanno meglio: impadronirsi del linguaggio di un elaboratore non è più simile al difficile processo di apprendimento di una lingua straniera scritta che a quello facile di imparare a parlare la propria lingua.

Continua sul Blog: Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 2

Fonti:
  • Papert Seymour, I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994.
  • Papert Seymour, Mindstorms. Bambini computers e creatività, Emme, Milano 1984.